domenica 2 luglio 2017

BOBBIO, Città del Dolcetto

A Bobbio, sabato 1 luglio 2017 nel Museo della Città, si è tornato a parlare di Dolcetto.
All'interno dell'evento intitolato RITORNO AL FUTURO, organizzato dal Comune insieme a Slow Food Piacenza, i temi in realtà erano tanti, ma il focus è stato su cereali e vitigni antichi. La Cascinotta ha avuto il piacere di partecipare attraverso un mio breve intervento sul Dolcetto e, terminato il convegno, con il successivo banchetto d'assaggio.


Di seguito la sintesi dell'intervento:
Questa storia ha per protagonista il Dolcetto di Bobbio, ma inizia in Val Nure.
Nel 2013, insieme a Giuseppe Quattrini, inizio a gestire l'azienda Cascinotta a Rizzolo di San Giorgio, per anni condotta in solitaria da Giuseppe. All'epoca la Cascinotta è specializzata in vini rossi fermi da invecchiamento e non coltiva uve bianche, ma inizia a farsi largo l'idea di produrre un bianco fermo dal taglio nordico. Quindi iniziamo a cercare una vigna da gestire tra Val Nure e Val d'Arda, senza successo. Fino a che un amico bobbiese di Giuseppe, Paolo Foppiani, ci porta a vedere la sua vigna a Fognano di Bobbio in Val Trebbia, zona fino a quel momento mai presa in considerazione a causa della lontananza con il nucleo aziendale di Rizzolo.


La vigna ha tutte le caratteristiche che cerchiamo in fatto di microclima, suolo e vitigni (ortrugo, malvasia e un vecchio impianto di sauvignon), ma è troppo scomoda da raggiungere. Poi, però, lì accanto vediamo i filari di dolcetto. Pensiamo che un giorno, oltre al tanto sognato vino bianco, potremmo vinificare il dolcetto, la varietà bobbiese forse più tradizionale (soprattutto nella variante a graspo rosso, clone bobbiese, presente nei filari di Fognano) e che in zona nessuno più vinifica in purezza, ma di cui tutti possiedono almeno un filare o due. L'idea ci piace al punto che decidiamo di avviare la collaborazione. È fatta, insomma, abbiamo trovato le uve bianche e – per caso – qualcosa in più che di colpo ci fa dimenticare le difficoltà logistiche causate dalla distanza.


Nel 2013 siamo troppo concentrati sul bianco (che chiameremo Sammartino) per dedicarci al dolcetto, così l'uva viene venduta; il 2014 non è l'annata giusta per fare esperimenti (troppa pioggia, l'uva ne soffre) e finalmente nel 2015 raccogliamo i primi 8 quintali dai quali ricaviamo poche centinaia di bottiglie di "Fauniano" imbottigliate a metà aprile 2016. Nella vendemmia 2016, preso coraggio dai risultati, raccogliamo circa 15 quintali che ci permettono di sfondare il tetto delle 1.000 bottiglie prodotte.
Due anni di esperienza sono troppo pochi per esprimere valutazioni, ma la prima impressione è qui il Dolcetto abbia tratti di originalità, di unicità: fresco e slanciato, elegante, comunque meno strutturato e potente rispetto – ad esempio – a quelli albesi o doglianesi.
Inizio a fare ricerche e chiedo a Foppiani se ha documenti storici relativi alla vigna o alla zona. Mi mostra un foglio che documenta, filare per filare, i vitigni presenti nella Vigna Forma, accanto a Fognano, nel dicembre 1877. È una bellissima “fotografia” storica: dei 51 filari, 22 sono di barbera, gli altri divisi tra nebbiolo, bonarda, freisa grossa e di Chieri, crovin, balau, tokaj, persino cabernet sauvignon e cabernet franc (probabilmente arrivati lì dai vicini Gerbidi dove Esuberanzo Buelli, nella prima metà dell'800, aveva piantato vitigni bordolesi)...ma niente dolcetto.


Continuo le ricerche. Il primo riferimento che trovo risale al 1842, quando in un vivaio di Lodi erano presenti barbatelle di dolcetto provenienti dalle vigne bobbiesi di Buelli. Tra il 1883 ed il 1884 il dolcetto è citato in altre fonti, come il 1° censimento dei vitigni dei Circondari di Voghera e Bobbio. All'inizio degli anni '20 la Cattedra Ambulante per l'Agricoltura di Bobbio vendeva barbatelle di dolcetto agli agricoltori della zona. Infine, nel 1963 un giovane Mario Fregoni consiglia ai vignaioli bobbiesi di puntare sul dolcetto in un opuscolo pubblicato dalla Camera di Commercio di Piacenza. Il consiglio non verrà seguito ed oggi il dolcetto a Bobbio è di fatto una specie in via di estinzione. Ad essere in pericolo in realtà è tutta la viticoltura bobbiese, a causa dello spopolamento e della mancanza di ricambio generazionale.
I dati ufficiali parlano di 2,5 ettari di dolcetto sui 70 ettari vitati complessivi all'interno del territorio comunale. A Piacenza oggi ci sono poco meno di 6.000 ettari di vigna, la metà dei quali suddivisi in tre comuni: Ziano, Castell'Arquato e Nibbiano. Bobbio è tra i fanalini di coda.
Quei 2,5 ettari vanno difesi e presidiati, non bisogna permettere che vadano persi. Credo che il Dolcetto possa diventare (tornare ad essere) IL vino di Bobbio. Perderlo significherebbe perdere: Storia, biodiversità e potenzialità economiche per il territorio.
Spero quindi che altri si aggiungano a noi e (ri)inizino a produrre il Dolcetto a Bobbio. Non vorremmo essere soli in questa piccola operazione di presidio territoriale. Bisogna rimettere una bandierina su Bobbio alla voce “Dolcetto”, ne guadanerebbero tutti, ma da soli si può fare poco.

Vittorio Barbieri

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