A Bobbio, sabato
1 luglio 2017 nel Museo della Città, si è tornato a
parlare di Dolcetto.
All'interno
dell'evento intitolato RITORNO AL FUTURO, organizzato dal Comune
insieme a Slow Food Piacenza, i temi in realtà erano tanti, ma il
focus è stato su cereali e vitigni antichi. La Cascinotta ha avuto
il piacere di partecipare attraverso un mio breve intervento sul
Dolcetto e, terminato il convegno, con il successivo banchetto
d'assaggio.
Di
seguito la sintesi dell'intervento:
“Questa
storia ha per protagonista il Dolcetto di Bobbio, ma inizia in Val
Nure.
Nel
2013, insieme a Giuseppe Quattrini, inizio a gestire l'azienda
Cascinotta a Rizzolo di San Giorgio, per anni condotta in solitaria
da Giuseppe. All'epoca la Cascinotta è specializzata in vini rossi
fermi da invecchiamento e non coltiva uve bianche, ma inizia a farsi
largo l'idea di produrre un bianco fermo dal taglio nordico. Quindi
iniziamo a cercare una vigna da gestire tra Val Nure e Val d'Arda,
senza successo. Fino a che un amico bobbiese di Giuseppe, Paolo
Foppiani, ci porta a vedere la sua vigna a Fognano di Bobbio in Val
Trebbia, zona fino a quel momento mai presa in considerazione a causa
della lontananza con il nucleo aziendale di Rizzolo.
La
vigna ha tutte le caratteristiche che cerchiamo in fatto di
microclima, suolo e vitigni (ortrugo, malvasia e un vecchio impianto
di sauvignon), ma è troppo scomoda da raggiungere. Poi, però, lì
accanto vediamo i filari di dolcetto. Pensiamo che un giorno, oltre
al tanto sognato vino bianco, potremmo vinificare il dolcetto, la
varietà bobbiese forse più tradizionale (soprattutto nella variante
a graspo rosso, clone bobbiese, presente nei filari di Fognano) e che
in zona nessuno più vinifica in purezza, ma di cui tutti possiedono
almeno un filare o due. L'idea ci piace al punto che decidiamo di
avviare la collaborazione. È fatta, insomma, abbiamo trovato le uve
bianche e – per caso – qualcosa in più che di colpo ci fa
dimenticare le difficoltà logistiche causate dalla distanza.
Nel
2013 siamo troppo concentrati sul bianco (che chiameremo Sammartino)
per dedicarci al dolcetto, così l'uva viene venduta; il 2014 non è
l'annata giusta per fare esperimenti (troppa pioggia, l'uva ne
soffre) e finalmente nel 2015 raccogliamo i primi 8 quintali dai
quali ricaviamo poche centinaia di bottiglie di "Fauniano" imbottigliate a metà
aprile 2016. Nella vendemmia 2016, preso coraggio dai risultati, raccogliamo
circa 15 quintali che ci permettono di sfondare il tetto delle
1.000 bottiglie prodotte.
Due
anni di esperienza sono troppo pochi per esprimere valutazioni, ma la
prima impressione è qui il Dolcetto abbia tratti di originalità, di unicità: fresco e slanciato,
elegante, comunque meno strutturato e potente rispetto – ad esempio
– a quelli albesi o doglianesi.
Inizio
a fare ricerche e chiedo a Foppiani se ha documenti storici relativi
alla vigna o alla zona. Mi mostra un foglio che documenta, filare per
filare, i vitigni presenti nella Vigna Forma, accanto a Fognano, nel
dicembre 1877. È una
bellissima “fotografia” storica: dei 51 filari, 22 sono di
barbera, gli altri divisi tra nebbiolo, bonarda, freisa grossa e di
Chieri, crovin, balau, tokaj, persino cabernet sauvignon e cabernet
franc (probabilmente arrivati lì dai vicini Gerbidi dove Esuberanzo
Buelli, nella prima metà dell'800, aveva piantato vitigni
bordolesi)...ma niente dolcetto.
Continuo
le ricerche. Il primo riferimento che trovo risale al 1842, quando in
un vivaio di Lodi erano presenti barbatelle di dolcetto provenienti
dalle vigne bobbiesi di Buelli. Tra il 1883 ed il 1884 il dolcetto è
citato in altre fonti, come il 1° censimento dei vitigni dei
Circondari di Voghera e Bobbio. All'inizio degli anni '20 la Cattedra
Ambulante per l'Agricoltura di Bobbio vendeva barbatelle di dolcetto
agli agricoltori della zona. Infine, nel 1963 un giovane Mario
Fregoni consiglia ai vignaioli bobbiesi di puntare sul dolcetto in un
opuscolo pubblicato dalla Camera di Commercio di Piacenza. Il
consiglio non verrà seguito ed oggi il dolcetto a Bobbio è di fatto
una specie in via di estinzione. Ad essere in pericolo in realtà è
tutta la viticoltura bobbiese, a causa dello spopolamento e della
mancanza di ricambio generazionale.
I
dati ufficiali parlano di 2,5 ettari di dolcetto sui 70 ettari vitati
complessivi all'interno del territorio comunale. A Piacenza oggi ci
sono poco meno di 6.000 ettari di vigna, la metà dei quali suddivisi
in tre comuni: Ziano, Castell'Arquato e Nibbiano. Bobbio è tra i
fanalini di coda.
Quei
2,5 ettari vanno difesi e presidiati, non bisogna permettere che
vadano persi. Credo che il Dolcetto possa diventare (tornare ad
essere) IL vino di Bobbio. Perderlo significherebbe perdere: Storia,
biodiversità e potenzialità economiche per il territorio.
Spero
quindi che altri si aggiungano a noi e (ri)inizino a produrre il
Dolcetto a Bobbio. Non vorremmo essere soli in questa piccola
operazione di presidio territoriale. Bisogna rimettere una bandierina
su Bobbio alla voce “Dolcetto”, ne guadanerebbero tutti, ma da
soli si può fare poco.
Vittorio
Barbieri